Confermato orientamento secondo cui quando il Giudice si discosta dal minimo edittale deve offrirne congrua motivazione: <<Solo nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. (Cass. n. 2925 del 1999, Rv. 217333; n. 28852 del 2013, Rv. 256464). In questa prospettiva, occorre osservare come anche il diniego delle circostanze attenuanti generiche, che costituiscono uno strumento affidato al giudice per meglio adeguare la pena al caso concreto, in base a una valutazione che sfugge ad una casistica predeterminata (Cass. Sez. 6,n. 10412 del 13-3-1987,Rv. 176791), debba essere sorretto da congrua motivazione. Nel caso di specie, la Corte d’appello, per quanto attiene al diniego delle attenuanti ex art. 62 bis c.p., si è limitata ad un generico riferimento alla sistematicità delle condotte, alla molteplicità delle procedure esecutive e all’entità del danno e del profitto conseguito, tacendo in ordine agli elementi indicati dal difensore, che pure avrebbero dovuto essere presi in considerazione, nell’ottica di una equilibrata valutazione globale della personalità dell’imputato. Per quanto concerne invece il quantum della pena-base, l’apparato giustificativo del decisum si esaurisce nell’apodittica quanto sommaria affermazione secondo cui esso “non appare esorbitante” e “non sussistono ragioni” per ricondurlo al minimo edittale, senza indicare gli elementi alla base di tale valutazione. Nulla si dice poi in merito ai parametri a fondamento della quantificazione dell’aumento per la continuazione.>> (Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 39753/15; depositata il 1° ottobre)
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