Un associato non deve per forza essere ritenuto responsabile anche del reato fine, perché <<il ruolo di partecipe – anche in posizione gerarchicamente dominante – da taluno rivestito nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sè solo sufficiente a far presumere, in forza di un inammissibile ed approssimativo criterio di semplificazione probatoria dell’accertamento della responsabilità concorsuale, quel soggetto automaticamente responsabile di ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, … dei delitti fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta delittuosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di “posizione” o da “riscontro d’ambiente”, con la quale si pretende di riferire all’associato il reato fine che si ha prova di collegare all’associazione, siccome compreso nel programma generico dell’organizzazione (cosi Sez. 1, n, 1988 del 22/12/1997, Nikolic, Rv. 209846; per una più recente affermazione sul punto, cfr. Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014, Attanasio, Rv. 262305). (Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 36909/15; depositata il 14 settembre)
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