Un giornalista, in qualità di terzo non indagato, viene fatto oggetto di provvedimento di perquisizione del suo pc nell’ambito di un procedimento avente per oggetto la violazione di un segreto d’ufficio uscito fuori da un Tribunale, e gli operanti, dopo essersi fatti consegnare le password per l’accesso, vi entrano, non trovano l’indicazione della fonte della notizia indebitamente comunicata al giornalista, ma stampano delle mail.
La Corte analizza varie questioni che pure non hanno attinenza alla fattispecie, stabilendo che
1) Il diritto all’anonimato sulle fonti del giornalista, quale previsto dall’art. 200 c.p.p., non consente il ricorso a perquisizione e sequestro per acquisire il nominativo della fonte, salvo che non ricorrano, ex ante, le condizioni per la non operatività del diritto al segreto.
2)Non può essere sequestrato un intero sistema informatico, ad es un PC, in virtù dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, che si applicano anche alle cautele reali;
3) Le disposizioni introdotte dalla legge n. 48/2008 riconoscono al dato informatico, in quanto tale, la caratteristica di oggetto del sequestro, di modo che il trattenimento di copia dei dati sequestrati, con restituzione all’avente diritto del loro supporto fisico originale di memoria, non fa cessare il sequestro; l’art. 258 afferma il diritto di sequestrare una copia restituendo l’originale, ma, in caso di strumenti informatici, può sempre residuare in capo al detentore il diritto all’impugnazione reale qualora la copia rappresenti di per sè la violazione del diritto all’esclusività : infatti la “copia” informatica non ha necessariamente lo stesso significato di quella cartacea (si veda come lo stesso Codice Amminstrazione Digitale, D L.vo 82/2005, preveda un più ampio ventaglio di “copie” informatiche); ad es si ipotizzi il sequestro, su supporto cartaceo, di piani industriali destinati a restare segreti, dell’archivio cartaceo con i dati delle carte bancarie dei clienti di una impresa commerciale, in generale tutte le ipotesi in cui il documento non ha unico valore in sè, “racchiuso” nel solo originale ( come il comunissimo esempio di banconote ed assegni), e cioè in tutti quei casi in cui il valore del documento deriva proprio dalla esclusione dell’accesso di altri (discorso valido per il cartaceo ma, allo stesso modo, vale per il digitale), non si può ritenere che il trattenimento di copia risolva il tema del diritto alla restituzione. Chi ha subito lo spossessamento ha ragione di contestare tale perdita della esclusiva disponibilità che rappresenta il valore in sè del documento. Nella fattispecie il ricorrente non ha individuato tale “esclusività”, quindi il ricorso è stato rigettato.(Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-02-2015), n. 24617 dep. 10-06-2015)