Non risulta integrato il reato di diffusione di materiale pedopornografico quando non si dimostra la volontà di divulgarlo. Per provarla, non basta che il soggetto si sia procurato le immagini attraverso programmi di file sharing, tipo emule, che di default prevedono una directory (nella fattispecie si chiama incoming ) che mette in condivisione di altri utenti il file, e su cui quindi non si può dire di aver raggiunto la prova dell’elmento soggettivo del reato (Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 30465/15, depositata il 15 luglio)
Condividi questo articolo