L’ART. 106 co I° T.U 115/2002 che stabilisce che “Il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili” va interpretato nell’ambito della sua ratio legis che è quella di scoraggiare la proposizione, a spese dello Stato, di impugnazioni del tutto superflue, meramente dilatorie o improduttive di effetti a favore della parte, il cui esito di inammissibilità sia largamente prevedibile o addirittura previsto prima della presentazione del ricorso; pertanto se la causa di inammissibilità è sopravvenuta – nel caso vi era stata una sopravvenuta carenza di interesse perché la Corte territoriale le cui decisione era stata impugnata aveva rimediato con una propria ordinanza all’errore fatto valere con la doglianza- vengono in soccorso ( e quindi si può evitare una sentenza di illegittimità costituzionale) gli ordinari criteri di ermeneutica che fanno riferimento alla ratio legis . (Corte Costituzionale, sentenza n. 16/18; depositata il 30 gennaio)
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