La differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale e quella semplice consiste nell’elemento psicologico che, nel primo caso, viene individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore; e, nel secondo caso, dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture. Ne consegue che il dolo generico che caratterizza il reato fraudolento, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che l’irregolare tenuta delle scritture renda impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere ritenuta sovrapponibile alla pura e semplice volontà di non tenere quelle stesse scritture. La differenza tra i due elementi psicologici richiamati sta nel fatto che soltanto il primo di essi, e cioè quello che caratterizza la bancarotta fraudolenta, deve risultare arricchito di componenti soggettive che afferiscano esplicitamente al tema della messa in pericolo dell’interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche della società: un interesse che, a sua volta, viene generalmente desunto da indicatori precisi quali la consistenza del materiale documentale tenuto in violazione di legge, oppure la correlazione di tale condotta con attività distrattiva che il disordine contabile appaia destinata, per l’appunto, a celare.(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 45186/15; depositata l’11 novembre)
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