Sappiamo dall’art. 106 co. I° dpr 115/2002 che << Il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili.>>
Norma, quella in commento, di facile applicazione , almeno sembra.
Perché in effetti la casistica, qualche dubbio lo ha posto :
- a) quid iurisnel caso in cui, ad es. , nel ricorso in Cassazione l’inammissibilità non venga dichiarata dall’appositamente costituita 7° sezione penale (c.d. sezione filtro ex art. 610 c.p.p.) , ma si fissi udienza pubblica al cui esito sopravvenga la declaratoria di inammissibilità ;
- b) caso in cui il P.M. impugni in Cassazione una sentenza costringendo una delle parti private ammesse al patrocinio statale(parte civile o imputato) a svolgere attività difensiva , anche in tal caso superando il vaglio di inammissibilità della 7° sezione.
Sono due gli orientamenti ipotizzabili : secondo un primo , chiamiamolo di stretta interpretazione, la legge non opererebbe alcuna distinzione circa le inammissibilità delle impugnazioni, e stabilirebbe incontrovertibilmente che non va liquidato alcun compenso nel caso in cui le impugnazioni coltivate dalla parte siano dichiarate, comunque (prima o dopo che sia) , inammissibili (in questo senso P.G. in Cass. pen. Sez. IV, (ud. 03-03-2004) 29-04-2004, n. 20214 e Trib. Roma Sez. VIII, 08-03-2011) , rispondendo negativamente ad ambedue i casi sopra ipotizzati ; secondo altro , inaugurato dall’unica sentenza della Corte Suprema (quella per l’appunto appena citata n. 20214/04) , occorrerebbe operare un distinguo : <<se e’ indubitabile che per le impugnazioni dichiarate inammissibili nulla compete al difensore dell’ammesso al patrocinio dei non abbienti in base alla norma volta a scoraggiare impugnazioni infondate e dilatorie (ed eventualmente volte piu’ a lucrare un onorario che ad ottenere un risultato utile per il cliente), e’ altrettanto vero che per la convergente attivita’ di difesa avverso l’impugnazione del P.M. l’attivita’ dev’essere remunerata, trattandosi di attività distinta sul piano logico pur se la stessa attività sia volta al duplice fine. Ne’ e’ esatto affermare che non sia possibile operare distinzioni: premesso che, ad es., e’ pacifico che l’atto d’impugnazione, ove prescinda dall’impugnazione del P.M., non debba essere oggetto di remunerazione, deve affermarsi che le attivita’ finalizzate unicamente a contrastare l’impugnazione del P.M. o anche a svolgere detta funzione di contrasto debbono essere remunerate, e la quantificarne della liquidazione da un minimo ad un massimo terra’ conto, in tale ultimo caso, unicamente dell’attivita’ di contrasto all’altrui impugnazione.Diverso discorso potrebbe essere fatto unicamente qualora l’impugnazione del P.M. sia incidentale, e cioe’ provocata dall’impugnazione inammissibile in favore dell’imputato, ma nulla lascia ritenere che sia questo il caso.>>
Ovvio quindi che la Corte Suprema risponde affermativamente al secondo quesito ; ma ci offre anche una duplicità di considerazioni , idonee ad aprire – forse – una breccia nell’alveo del primo quesito (che abbraccia i casi più numerosi) : a) non è vero che non si possono ipotizzare distinzioni; b) la ratio legis, consistente nello “scoraggiare impugnazioni infondate e dilatorie volte piu’ a lucrare un onorario che ad ottenere un risultato utile per il cliente”, può orientare il Giudice nel discernimento dei casi meritevoli di un onorario.
Dunque , superato il vaglio di inammissibilità della sezione filtro, si fissa udienza pubblica , ove , il difensore dell’imputato ( o parte civile) si reca per svolgere la discussione ex art. 614 c.p.p. .; se all’esito il ricorso venga dichiarato inammissibile a rigore non potrà dirsi che il difensore non abbia – in assoluto – diritto all’onorario : il Giudice competente a provvedere sulla liquidazione ( Corte d’appello tranne i casi di ricorsi immediati in Cassazione nel cui caso è competente il Giudice di 1° grado) potrebbe in teoria “valutare” l’impugnazione non infondata e dilatoria, riconoscendo il compenso al difensore; ma i tempi non sono propizi per le casse dello stato1 (cfr da ultimo l’introduzione dell’art. 106 bis DPR 115/2002 che ha ulteriormente decurtato l’onorario del difensore) che , in una con l’esiguità delle pronunzie giurisprudenziali (quelle citate sono le uniche reperibili) , sembrano non lasciar molte speranze al difensore – seppur scrupoloso , “salvato” dalla 7° sezione ma “castrato” dalla decisione resa in calce all’udienza pubblica.