Da un interessante scambio di opinioni con un alto Magistrato della Corte di Appello di Roma, abbiamo deciso di tentare una risposta al quesito, atteso il disagio in cui vertono determinate sezioni per la scarsità di Giudici che rendono estremamente difficoltosa la rotazione degli stessi dopo l’annullamento con rinvio dalla Cassazione.
La scelta di comporre i collegi con Magistrati diversi sembra – però – più rispondente a canoni di opportunità (stante la clausola “aperta” di cui all’art. 36 lett. h) c.p.p.) che a quelli imposti dal diritto vivente .
Ricordiamolo , l’art. 623 c.p.p. stabilisce (lett a) : se è annullata un’ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento ..” I commi successivi stabiliscono che solo in caso di annullamento di “sentenza” vige la regola dell’avvicendamento con altro Giudice ( o collegio) .
Non abbiamo rinvenuto precedenti di legittimità sul caso specifico delle ordinanze rese in materia di ingiusta detenzione , ma possiamo fondatamente ritenere che il rinvio potrebbe giungere sul tavolo dello stesso Giudice (Collegio) che ha emesso la decisione annullata.
La ratio dell’art. 623 c.p.p. risiederebbe nella natura (più amministrativa che giurisdizionale) delle ordinanze rispetto alle sentenze.
Vero che la Corte costituzionale, con sentenza 3-9 luglio 2013, n. 183 (Gazz. Uff. 17 luglio 2013, n. 29 – Prima serie speciale) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della lettera a) nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, e della disciplina del concorso formale, ai sensi dell’art. 671 c.p.p.; ma lo ha fatto affermando la natura “cognitiva” della decisione ex art. 671 c.p.p. , che incide notevolmente sull’aspetto dosimetrico della sanzione penale ( in virtù della scelta legislativa di recuperare in fase esecutiva un aspetto “ignorato” in fase cognitiva) .
Tanto è vero che la stessa giurisprudenza di legittimità, ha affermato che le ordinanze rese in materia di liberta personale ( Tribunale del Riesame ex art. 309 c.p.p. o anche Corte di Appello ex art. 310 c.p.p.) dopo l’annullamento della Cassazione possono essere decise dagli stessi giudici ( Cass. pen. Sez. VI Sent., 26/03/2014, n. 33883 rv. 261076), anche se vi è qui l’ulteriore motivazione della “precarietà” della decisone cautelare (vale rebus sic stantibus).
A tal proposito merita di essere menzionata la sentenza Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-02-2009) 08-05-2009, n. 19654 , resa a proposito di annullamento con rinvio di ordinanza di archiviazione recapitata allo stesso Giudice che l’aveva pronunciata , ovviamente la Corte Suprema rigetta il ricorso che se ne doleva e riafferma incontestabilmente la dicotomia “sostanziale” tra ordinanza e sentenza : “….nel caso in cui venga annullata una ordinanza, gli atti vanno trasmessi al giudice che l’ha pronunciata che, non contenendo la norma la specifica previsione della diversità, può essere anche la stessa persona fisica che ha emesso il precedente provvedimento. Trattasi peraltro di un principio che anche questa Corte ha ripetutamente avuto modo di affermare, sia con riferimento ai provvedimenti in materia “de libertate” (Sez. 6^, 20 aprile 2005 n. 22464, Saraceni, rv. 232236, Sez. 1^, 7 ottobre 2003 n. 23502, Montini, rv. 228125, Sez. 6^, 19 giugno 2003 n. 36332, Zorzi, rv. 228411, Sez. 6^, 2 febbraio 2006 n. 11662, Castelluccia, rv. 233828) laddove si è ribadito che la disciplina dell’incompatibilità deve essere circoscritta “ai casi di duplicità del giudizio di merito sullo stesso oggetto”; sia con specifico riguardo ai provvedimenti di archiviazione come espressamente affermato, in motivazione, da sez. 3^, 15 febbraio 2006 n. 12439, P.O. in proc. Marchesi. Manifestamente infondata è, poi, la questione di legittimità costituzionale sollevata, in subordine, dal ricorrente perché, come opportunamente ha osservato il Procuratore Generale presso questa Corte, la situazione del giudice la cui ordinanza o decreto sono stati annullati dalla Corte di Cassazione non è analoga né paragonabile a quella nella quale il giudice abbia formulato un vero e proprio giudizio di merito sulla responsabilità dell’imputato, situazione che è l’unica a poter dar luogo ad incompatibilità ex art. 34 c.p.p.. “
L’ultimo obiter dictum della sentenza appena riportata ci consegna, a nostro modesto parere , la vera ragione che consente il rinvio sul tavolo dello stesso Collegio per le ordinanze di ingiusta detenzione, ossia la natura “civile” del procedimento de quo , in riferimento al quale il Giudice di legittimità ha escluso qualsiasi coinvolgimento della disciplina in materia di astensione e ricusazione (che è alla base del meccanismo ex art. 623 .p.p.) ; qui , di contro, le pronunce fioccano: cfr. da ultimo Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-03-2019) 06-06-2019, n. 25152 “Nel caso del giudizio di riparazione, invero, il giudizio non verte sul reato, dal quale il ricorrente è sempre stato assolto o prosciolto, ma sulla sua condotta in ordine all’emissione ed al mantenimento della misura cautelare. Il procedimento per la riparazione per l’ingiusta detenzione, invero, ha natura civilprocessualistica ed è del tutto diverso dal processo penale da cui trae origine; pertanto non possono applicarsi ad esso, perché inconfigurabili, le situazioni di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento previste dall’art. 34 c.p.p. (cfr. Sez. 4, n. 113 del 31/01/1994 – dep. 16/03/1994, Corrias, Rv. 19697201)…”
Comunque sia , se nessuno se ne duole con la richiesta di ricusazione da far valere nei termini rigorosi ex art 38 c.p.p. , la decisione è salva (Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-04-2019) 17-10-2019, n. 42573.
In definitiva non solo possono partecipare al procedimento di ingiusta detenzione (di rinvio) , gli stessi Magistrati che hanno formato la decisione poi annullata , ma la stessa facoltà spetta anche a coloro che hanno partecipato al Giudizio di merito che ha assolto l’imputato (a questo si riferiva la pronuncia della Cassazione nr 25152/19 appena citata.).