Si continua ad affermare, nel solco di un’interpretazione restrittiva dell’art. 521 c.p.p., che anche la mera diversa qualificazione giuridica data al fatto in sentenza, senza che sia stata adeguatamente “adattata” l’imputazione, può far scattare la violazione del diritto di difesa con conseguente nullità. Ci riferiamo precipuamente alla sentenza Cass. Sez. II, 12.11.2012 (dep. 14.1.2013), n. 1625.
Ivi si affronta la problematica della la derubricazione tra furto e ricettazione (e viceversa) : comunemente ammessa , in applicazione dell’art. 521 c.p.p. , con la precisazione che è però doveroso svolgere un accertamento “teleologico” del mancato pregiudizio per la difesa dell’imputato, in aderenza ai principi elaborati dalla Corte EDU nella sentenza Drassich , che ha predisposto , per il Giudice di merito, tre criteri cui parametrare la diversa qualificazione giuridica del fatto in concreto:
- <<se fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l’accusa inizialmente formulata nei suoi confronti fosse riqualificata
- la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti;
- quali siano state “le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente.>>
Nella fattispecie (imputato di furto e condannato per ricettazione) , risponde negativamente a tutti e tre i quesiti e quindi addiviene all’enunciazione del seguente principio di diritto :<<deve ritenersi violato il principio del giusto processo, sotto il profilo del diritto alla difesa e del contraddittorio, ove, all’esito del giudizio abbreviato incondizionato, l’originaria imputazione di furto venga riqualificata in ricettazione se, in concreto, per l’imputato non fosse sufficientemente prevedibile che l’accusa inizialmente formulata nei suoi confronti potesse essere riqualificata e, quindi, non sia stato messo in concreto nella possibilità di difendersi>>.
In precedenza, Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 18590/11 aveva sancito la necessità di applicare l’istituto ex art. 519 e 520 c.p.p. nel caso in cui la modificazione dell’accusa fosse stata anche solo in diritto (ossia a fatto invariato), pur se la derubricazione svicola in una ipotesi meno grave.
Le due pronunzie di cui sopra, ed in particolare la seconda, sono destinate a gettare scompiglio nelle consolidate prassi giurisprudenziali di legittimità e di merito che ritenevano irrilevante, ex art. 521 c.p.p., la diversa qualificazione giuridica del fatto data in sentenza.
Certo è che l’art. 521 co. I ° nel sancire che <<Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione..>> sembra essere contraddetta dall’interpretazione che la Corte Edu ricollega a l’art. 6, comma 3, lett. a), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, la quale recita in parte qua <<ogni accusato ha più specificamente diritto a: a) essere informato (..) in un modo dettagliato della natura e dei motivi della accusa elevata a suo carico>>.
La Corte Suprema della sentenza 18590 ritiene oltretutto quel principio comunitario consacrato anche nell’art. 111 Cost., comma 3, (inserito dalla novella costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) che sancisce il diritto della persona accusata di un reato a essere “informata (..) della natura e dei motivi della accusa”.
Dunque, alla stregua di queste due ultime decisioni dei Giudici di legittimità sembra escludersi che il diritto dell’imputato ad essere informato sui fatti sia limitato ai meri elementi fattuali posti a fondamento dell’accusa. Secondo le decisioni ut supra la qualificazione giuridica dei fatti addebitati concorre a definirne la “natura” dell’addebito, con salvaguardia dell’effettivo esercizio del diritto di difesa nel “giusto processo” attraverso il quale si attua la giurisdizione (art. 111 Cost., comma 1).
Certo è che una tale dirompente (ed innovativa) “ventata” garantista provocherebbe non pochi problemi di prassi applicativa, che era sostanzialmente attestata su posizioni “tradizionali”: cfr per tutti Cass. pen. Sez. VI, 13/04/1999, n. 9574 <<In tema di correlazione tra accusa e sentenza non si ha mutamento del fatto e nemmeno dell’imputazione allorchè il giudice si limiti a modificarne la definizione giuridica ovvero ad aggiornarla sulla base degli elementi acquisiti al dibattimento, nel contraddittorio delle parti.>>; da ultimo anche Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 07-11-2012) 27-02-2013, n. 9317.
Ma il Trattato di Lisbona (art. 6 par. 2 e 3) ha “comunitarizzato” le norme C.E.D.U. e quindi le decisioni della Corte EDU non possono essere eluse.
In conclusione, la possibilità di dare al fatto una definizione giuridica diversa ex art. 521 deve essere “mitigato” da una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 521 c.p.p. comma I° (così come è stata adeguata al decisum del Giudice Europeo): se si deve escludere la possibilità dell’attuazione “a sorpresa” del potere di nuova (e diversa) qualificazione della condotta, occorrerebbe allora che il Giudice del merito , ogni qualvolta ne abbia “sentore”, inviti le parti a realizzare il contraddittorio sulla relativa quaestio juris. Ma la strada è lunga e osserveremo gli sviluppi futuri.