Il decorso del tempo , al pari di quello che accade in materia di prescrizione del reato , incide anche sulla pena , ma occorre farvi attenzione , poiché sono molti i paletti posti dal legislatore a presidio di alcune situazioni di “imprescrittibilità” in forza delle quali, a ragione, si è sostenuto che il fondamento dell’istituto si basa su mere esigenze politiche di opportunità .
Prima problematica si è posta quando ,se successivamente alla condanna, una porzione della pena inflitta sia stata condonata o commutata in altra specie, cosicché , ai fini della determinazione del tempo necessario affinché la reclusione si prescriva, debba aversi riguardo alla pena irrogata dal giudice ovvero alla pena residua: la giurisprudenza pressoché univoca ha stabilito che per pena inflitta deve intendersi ” quella irrogata nella sentenza di condanna, inclusa la parte eventualmente coperta da condono.
Altro problema si è posto quando la legge subordina l’esecuzione della pena alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione (come ad es nel caso di revoca della sospensione condizionale della pena o alla revoca dell’indulto ), quale sarebbe il dies a quo da cui calcolare il termine per l’estinzione , quello in cui diviene definitiva la decisione che ha disposto la revoca dei benefici (nella prassi può essere chiesta molto tempo dopo che il requisito si verifica) o quello in cui si matura il requisito della revoca ? L’orientamento più datato optava per la prima soluzione ; quello più recente reca indubbiamente l’argomento di pregio secondo il quale non può porsi a carico del condannato il danno per il ritardo con cui viene presa la decisione.
Quid iuris quando più fatti sono avvinti dal medesimo disegno criminoso ex art. 81 co. II° c.p. (reato continuato) , tenendo presente che il comma VI° dell’art. 172 stabilisce che nel caso di concorso di reati occorre far riferimento ai reati singoli , anche se inflitti con la medesima sentenza (e vi può ricadere appunto il reato continuato) : sembrerebbe inevitabile concludere che , in caso di reato continuato, per determinare il tempo necessario alla prescrizione della pena, si deve avere riguardo alla pena inflitta per ciascuno dei reati ritenuti in continuazione, in quanto il reato continuato (analogamente al concorso formale di reati) è fittiziamente considerato dalla legge come un unico reato ai fini della determinazione della pena, ma sotto ogni altro profilo e per ogni altro effetto esso è soggetto alla disciplina del concorso materiale di reati ; occorre però precisare che se la continuazione è riconosciuta tra un reato sub iudice ed uno già definito con sentenza passata in giudicato , rideterminando il complessivo trattamento sanzionatorio, il termine di prescrizione della pena ex art. 172 c.p. decorre dal momento del passaggio in giudicato della seconda sentenza.
Pesanti le restrizioni , in materia , a carico dei recidivi ai sensi dei capoversi dell’art. 99 c.p. : recidivi specifici, o infraquinquennali, coloro che commettono nuovo reato durante o dopo l’esecuzione della pena ovvero durante il tempo in cui si sottraggono volontariamente all’esecuzione della pena; nonché nel caso di recidiva reiterata (idem per i condannati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza) . Costoro non beneficeranno mai del decorso del tempo ai fini dell’estinzione della pena , in ipotesi, neanche se dall’ultimo reato non ne abbiano più commessi , ad es. per 10 anni (qualora la pena inflitta sia inferiore a quel limite ) : le esigenze special-preventive che hanno giustificato la restrizione , qui sembra non siano proprio in linea con il principio di eguaglianza . Anche per questa “asprezza” sembrava pacifico che la recidiva dovesse risultare dalla sentenza di condanna, non potendo la recidiva produrre effetti giuridici se non legittimamente accertata e dichiarata come circostanza aggravante; ciò significa che non può essere desunta “in executivis” sulla base del certificato penale, se non dichiarata dal giudice della cognizione; però se ritualmente contestata , anche se il giudice non ha applicato il relativo aumento di pena , opera comunque la preclusione . Eppure si è registrata , seppur circoscritta e datata , qualche decisione contraria , nel senso è stata considerata una situazione soggettiva autonoma della persona che spiega de iure i suoi effetti penali e che può essere dedotta dal certificato del casellario giudiziale e da sentenze non ancora iscrittevi, ma passate in cosa giudicata. In ogni caso, ai fini della qualificazione di recidiva a norma dell’ultimo comma dell’art. 172, devesi ritenere che valgano soltanto le condanne anteriori al reato che diede luogo alla pena della cui estinzione si tratta, e non anche le condanne successive;
Invece la condotta successiva determina la imprescrittibilità della pena ai sensi dell’ultima parte del comma VII dell’art. 172 , ossia se il condannato, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole ; anche qui non è stata fatta necessaria chiarezza poiché si è stabilito , per un verso che , più reati possono considerarsi omogenei per comunanza di <<caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali si sono realizzati, quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l’inclinazione verso una identica tipologia criminosa ovvero quando le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalità di aggressione degli altrui diritti rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa>>; insomma sarebbero variegate le situazioni che inducono ad escludere la prescrizione della pena (sulla base della stessa definizione contenuta nel codice penale all’art. 101; d’altro verso si è cercato di restringere maggiormente il concetto di stessa indole , ancorandolo all’interesse tutelato o all’elemento materiale oggettivo.